La vita con un bimbo disabile, tra timori, gioie e speranze, raccontata da Martina, mamma e autrice di lo zaino di Emma. Domenica 11 Ottobre sarà la Giornata per le persone con sindrome di Down 2015.
Domenica 11 Ottobre è una giornata speciale per persone speciali.
Io ne ho conosciuta una l’estate scorsa.
Si chiama Emma, ha 10 anni, è una bomba di energia e una bambina dotata di un’arguzia e un’ironia fuori dal comune.
Ed è una bambina con sindrome di Down.
Insieme a lei ho conosciuto i suoi fratelli e, sapete quando incontrando un bambino si pensa “ma come devono essere i suoi genitori”, ecco, quando ho conosciuto loro mi sono piaciuti così tanto che mi sono chiesta che mamma c’è dietro.
Questione di feeling, un anno dopo Martina ha scritto qui, su Zigzagmom e oggi parliamo insieme (in realtà io sono a Milano, lei a Istanbul) di Emma e della loro storia.
Non vi nascondo che non conosco bene la realtà delle famiglie in cui si vive una disabilità e mi sento goffa nel porre domande, che temo inadeguate e forse anche stupide. Ma è un’occasione per imparare e sono certa che Martina saprà rendermi facile il compito.
Avevi già una bambina, Giulia, quando è nata Emma. La seconda volta è stata un’emozione diversa?
La seconda volta è stata meno spensierata, non perché Emma ha la sindrome di Down, ma perché temevo di togliere qualcosa a Giulia, tempo, energie e amore. Non sapevo che la maternità avesse un potere magico: l’amore si moltiplica non si divide! Le energie anche. Poi c’è stato anche il momento della paura e la preoccupazione, ma certamente la seconda maternità è stata più consapevole e me la sono goduta molto di più.
Quando l’hai vista la prima volta l’amore è sicuramente stato più forte di ogni altra emozione. Cos’è successo poi?
Sì non c’è dubbio. L’ho scritto anche nel libro (“Lo zaino di Emma”, di Martina Fuga, Mondadori Electa), quando mi hanno detto della sindrome io ero completamente persa in lei, in quel momento magico che è la nascita di un figlio, mi sembrava che mi avessero detto che non aveva gli occhi blu e i capelli rossi come mi aspettavo… “mi spiace signora ma è mora!”
Poi sono sprofondata nella paura e nel senso di inadeguatezza. Non sapevo nulla della sindrome e la prima preoccupazione fu relativa alla salute e a cosa potevo fare per lei. Non sapevo che la sindrome non fosse una malattia, ma una condizione genetica che porta con sé un bagaglio di caratteristiche fisiche e un ritardo cognitivo variabile; ci sono delle patologie connesse alla sindrome che vanno verificate alla nascita e talora anche in fase di gravidanza per intervenire immediatamente alla nascita. Emma è una bambina molto fortunata: è nata sana come un pesce! Una volta scongiurato tutto questo e soprattutto saputo che il suo cuoricino era in forma, io ho ripreso a respirare e ho cercato di occuparmi di lei come se fosse una neonata qualsiasi, perché lo era!
Ogni madre sente di dover proteggere i propri figli. Tu sei una mamma apprensiva? Con Emma hai sentito che sarebbe stato necessario proteggerla più di Cesare e Giulia?
All’inizio sì. Avevo paura di tutto. Poi mano a mano ho capito che Emma era una bambina prima che una bambina con la sindrome di Down e vorrei che anche gli altri la vedessero così. La sindrome è una delle sue caratteristiche, certo forse la più visibile all’apparenza, ma poi la sua personalità esce e si incontra Emma. È stato così anche per me come mamma. Ad un certo punto del mio percorso ho capito che Emma era la più forte dei miei ragazzi, paradossalmente la più sicura di sé e che forse dovevo proteggere più i suoi fratelli che lei.
Certo poi c’è il mondo là fuori… non tutti sono pronti ad affrontare la diversità, ma verso quel mondo non sono più arrabbiata, penso che il mondo intorno vada “educato”, passami il termine. Non pretendo di cambiare il mondo, ma certamente con il nostro atteggiamento e soprattutto mia figlia con il suo esempio possiamo incidere nella realtà che ci circonda, nel nostro contesto sociale. Emma ha fatto grandi cose nel suo contesto, a scuola, tra gli amici, ha cambiato gli stereotipi, ha scardinato i pregiudizi, si è fatta spazio nelle resistenze e negli imbarazzi delle persone.
Ipocrisia, solidarietà, paura, amicizia, diffidenza, naturalezza. Cosa avete incontrato più spesso in questi anni?
La verità è che si incontra di tutto. Un’esperienza come la nostra ti permette di conoscere il mondo e le persone da un’altra prospettiva. Emma ti mette di fronte alla realtà a tal punto che non si può rimanere in superficie nelle relazioni. Lei spoglia le persone delle loro sovrastrutture nel bene e nel male. Ma il mio bilancio di questi anni è per lo più positivo. Un po’ di ipocrisia l’ho incontrata, ma io penso che non ci sia davvero qualcuno che deliberatamente discrimina o esclude, ma che molti ignorino cosa sia la sindrome. Un po’ perché non gli interessa un po’ perché semplicemente non ci sono entrati in contatto. Credo davvero che sia un fatto culturale; è per questo che mi batto tanto con le associazioni che si occupano di sindrome di Down su questo ed è per questo che ho scritto il libro.
Emma a me è sembrata una bambina molto forte, sicura, determinata, diretta. E mi ha fatto ridere perché è una che dice quel che pensa senza mezze misure. Sembra corazzata, ma per te, per voi, cos’è importante garantirle?
E cos’è importante poter offrire ad una persona disabile, grande o piccola?
Autonomia! E con una parola ho detto tutto. Da quando è nata ho perseguito questo obiettivo: renderla autonoma. Questo purtroppo non puo’ valere per tutte le disabilità, ma certamente in ognuna di esse i genitori cercano di creare le condizioni perché i figli siano più autonomi possibili.
Per due ragioni. Una certamente più pratica, non siamo eterni e lo sappiamo bene, e dal momento in cui nasce un figlio con disabilità il tuo primo pensiero va a quando non ci sarai più, e non voglio assolutamente pensare ai fratelli come a qualcuno che si occuperà di lei. Non voglio e non devo, voglio che il loro rapporto non sia viziato da un senso di responsabilità o dal peso di un compito. Voglio che sia spontaneo e reciproco come dev’essere. Poi c’è una seconda ragione: da mamma il mio desiderio più grande è che Emma sia felice, ed è lo stesso desiderio che ho per tutti tre i miei figli. E come si raggiunge la felicità se non attraverso la realizzazione di sé dei proprio desideri e della propria identità? Oggi le persone con sindrome di Down vanno a scuola, fanno sport, si innamorano, possono lavorare, e alcune possono andare a vivere da sole. Ecco io voglio garantire a Emma l’autonomia e le competenze necessarie, perché lei un giorno sia in grado di scegliere chi vuole essere e cosa vuole fare della sua vita.
Quando Cos, mia figlia, mi ha seguito al laboratorio dove avremmo incontrato Emma, ho voluto spiegarle prima. Aveva quattro anni e non volevo potesse dire cose che avrebbero potuto ferire Emma. Le ho detto che forse all’inizio sarebbe stato un po’ difficile capirla, ma che era così affettuosa e solare che si sarebbero intese. Sono seguiti i perché e le risposte. Poi hanno passato una giornata insieme, si sono divertite e non c’è stato bisogno di altro.
Martina, come spieghiamo ai nostri figli la diversità?
Così come hai fatto tu… Di fatto non c’è molto da dire. C’e solo da rispondere alle domande senza paura e a volte è anche importante che ai bambini arrivi il messaggio che non c’è una risposta per tutto. Tu avevi paura che dicesse qualcosa che non andava, a me fa paura il silenzio. Molte mamme proprio perché hanno paura che i figli dicano la cosa sbagliata o facciano una domanda imbarazzante evitano il contatto, li trascinano via per un braccio al parchetto… è successo! Ma il silenzio e quello che crea la diversità è ciò che esclude, ciò che separa. E’ così in tutte le relazioni. Quindi parliamo, rispondiamo alle domande, ed entriamo in contatto con l’altro senza paura. Ti assicuro che da questa parte della barricata preferiamo la domanda o la parola apparentemente inadeguata al silenzio. Ciò che conta non è passare il messaggio che siamo tutti uguali e ignorare la diversità fare finta che non esista, ma piuttosto che essere diversi è normale e spesso è anche una ricchezza.
Hai scritto “Lo zaino di Emma”, lo zaino è più leggero se…
E’ più leggero se ognuno fa il suo pezzo… Le istituzioni, la scuola, la società, le famiglie stesse. Quest’ultime sono le prime a dover accettare la disabilità del proprio figlio a credere nelle sue possibilità e a dargli spazi di autonomia. Poi certo c’è il mondo. Si fa presto a pensare che la questione non ci riguarda perché io un figlio disabile non ce l’ho o non lo avrei messo al mondo. A volte capita anche a chi non lo ha scelto, crediamo di controllare la vita, ma di fatto non è così, ci viene incontro con tutti i suoi “imprevisti” e dobbiamo fare i conti con questo. Ma ancora una volta se lavoriamo sul piano culturale tutto è più semplice, se solo nella giornata di domenica alcune persone leggendo un articolo, vedendo uno spot, leggendo un libro, parlando con un volontario nelle piazze, incrociando una persona con sindrome di Down a scuola o al lavoro cambia il suo percepito sulle persone con sindrome di Down e comincia a credere nelle loro possibilità ecco lo “zaino” sarà più leggero per tutti.
Domenica 11 scendete in piazza a comprare il cioccolato per supportare Coordown e se vi va condividete il vostro messaggio utilizzando #GNPD2015.
Coordinamento Nazionale Associazioni delle persone con sindrome di Down – Giornata Nazionale
Blog-Zaino di Emma:
Lo Zaino di Emma
Allo specchio
A scuola per un giorno
Martina
Trimamma di Giulia, Emma e Cesare
Veneziana, con il bello negli occhi, da sempre lavora nel mondo dell’Arte.
Organizza mostre, ha insegnato all’Università Cattolica di Milano, ha creato documentari e si è inventata Artkids, un progetto per avvicinare i bambini alle opere d’arte.
Come se non le bastassero tre figli per essere sempre di corsa, spesso indossa le sneakers e corre maratone da vera runner.
Saranno le ali ai piedi, sarà lo sguardo innamorato sul mondo, è sempre pronta alle sorprese ed è una che gli imprevisti li accoglie col sorriso.
La trovate
su Artkids
nel suo blog Imprevisti
nella pagina FB di Emma