#Beatolui è il bambino disabile che può avere accesso a cure e amore. Il sostegno a distanza bambini è quello che può fare ognuno di noi per lui.
Campus e nonni da incastrare, debiti formativi da recuperare, 90 giorni di figli a casa da organizzare.
Cose in più da gestire nel nostro quotidiano, mentre i nostri figli si godono, beatamente, la fine della scuola.
Difficile pensare che tutti i bambini, a qualsiasi latitudine, non si stiano godendo beatamente il loro essere bambini, con il gioco e la leggerezza, con la voglia di imparare e di crescere che li caratterizza, ma è così.
In questo clima di quasi vacanza vengo invitata da L’Albero della Vita, l’organizzazione che cura progetti d’amore per i bambini in tutto il mondo.
E qui riscopro qualcosa che sapevo, che tutti sappiamo, ma che, presi dal nostro quotidiano, dimentichiamo: la vita, per molti genitori e moltissimi bambini, è molto più difficile della nostra.
Se convivere con la disabilità è complesso, in un paese povero come l’India lo è infinitamente di più.
La disabilità, in paesi dove si lotta quotidianamente per la sopravvivenza, viene vista come una maledizione, le famiglie con un bimbo disabile vengono stigmatizzate e messe all’angolo e per chi deve nutrire una famiglia con un dollaro al giorno abbandonare il più debole diventa spesso una necessità.
La scuola è un miraggio. L’accesso all’assistenza medica per il piccolo ed al supporto anche psicologico per la sua famiglia impossibile.
Eppure molte disabilità sarebbero curabili ed anche superabili.
Se si potesse spiegare alla famiglia di questo bimbo che la disabilità non porta malocchio alla comunità.
Se si potesse sensibilizzare la comunità sui diritti delle famiglie con bimbi disabili e sui diritti umani di tutti, combattendo credenze popolari ancora difficili da estirpare.
A 30 km da Calcutta L’Albero della Vita ha aperto un centro in cui accoglie bambini con disabilità fisiche e mentali che hanno da uno a diciotto anni.
Purtroppo c’è un solo fisioterapista, ma ci sono un tapis rotulant ed una piscina di grande aiuto per il lavoro fisico in acqua.
C’è la possibilità per mamme e bimbi di stare insieme e trovare un supporto psicosociale, che lavora anche sulla comunità per garantire l’accettazione del piccolo.
Poi c’è il supporto nutritivo con sali minerali, calcio e vitamine, il counseling e l’aiuto che consente a famiglie spesso analfabete di accedere ad ospedali, carrozzine, tutori o stampelle. E poi qui si insegna alle mamme come far fare esercizi a casa che possono davvero cambiare la qualità della vita di questi bimbi.
Si insegna come accedere al microcredito per progetti di autoaiuto per quelle famiglie che non potrebbero mai aprire un conto in banca.
Ma la cosa più importante è insegnare alle mamme che loro figlio ha bisogno delle attenzioni di un figlio, ha bisogno che la sua famiglia lo accetti, perché altrimenti la comunità non lo farà.
Una mamma che non ha paura del suo bimbo e sa come mostrargli il suo amore conta ancor più di un medico.
Le storie a lieto fine sono tante. Le chiamiamo #Beatolui.
C’è S. che soffre di paralisi cerebrale, non riesce nemmeno a tenere la testina dritta. La sua mamma fa la casalinga, il suo papà il carpentiere a cottimo. Non potrebbero mai avere accesso ad un ospedale, lì dove le cure sono quasi interamente a pagamento. Al centro riceve vitamine e scarpe correttive. Il fisioterapista insegna alla sua mamma gli esercizi da fare a casa per rinforzare la muscolatura.
S. ora riesce a stare in piedi, ha mosso i primi passi e per la prima volta, a tre anni e mezzo, ha potuto giocare. #Beatolui.
P. arriva al centro a sei anni, ma non parla. Vive in una capanna di fango con il papà, che vende verdure e guadagna 40 euro al mese. Gli esercizi con la palla e l’idroterapia le hanno permesso di imparare ad usare le mani. Oggi ha nove anni, con una logopedista ha imparato a leggere e scrivere e finalmente può andare a scuola. Frequenta la terza e ha ricevuto una borsa di studio.
Chi accede al centro non lo abbandona, ma per continuare a raccontare storie come queste c’ è bisogno di una mano.
Quest’anno in questo centro sono stati accolti 50 bambini
Le loro mamme li portano fin qui in spalla per chilometri, camminando per ore.
Quel che serve è aprire gli occhi su una realtà che ci pare inimmaginabile: 5 milioni di persone disabili solo in India.
Quel che serve è dare l’occasione a bambini che vengono chiamati “avanzi” di poter avere dignità.
Serve sostenere le organizzazioni che sanno relazionarsi con le realtà locali, cercando il supporto, per esempio, di una diocesi, perché se costruire da zero una struttura in un paese come l’India è impossibile, creare una cooperazione con strutture già esistenti è possibile e funziona.
Quel che serve è credere che ognuno di noi può generare il cambiamento.
La differenza tra donatore e sostenitore è quella tra riempire un bollettino, utilissimo, ma non quanto contribuire ad un progetto diventando un Sostenitore a distanza.
Noi per la fine di questo primo anno di scuola ci siamo fatte regalo: Sostieni a Distanza #Beatolui
Fondazione L’Albero della Vita
Facebook Albero della Vita